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Brunetta, non puoi fermare il vento



In queste settimane assistiamo attoniti ad un surreale deja vu degli anni 2008/2011 quando Renato Brunetta ricopriva l’incarico di ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione del IV governo Berlusconi.

Come allora, abbiamo davanti un ministro contro la pubblica amministrazione e il personale in essa impiegato. Scelto per affossare il lavoro pubblico, dimostrarne l’arretratezza e l’inefficienza e avere argomenti per smantellare ulteriormente la macchina pubblica, già gravemente penalizzata da blocchi del turnover e della contrattazione che hanno prodotto un aumento dell’età media e una diminuzione del numero di addetti se confrontati con i maggiori paesi dell’UE.

Una singolare e gravissima interpretazione del suo ruolo; quantə lavoratorə (del pubblico e del privato) potrebbero permettersi di denigrare pubblicamente l’organizzazione da cui sono pagati senza incorrere nella rottura del patto di fiducia e nel conseguente licenziamento?

Dal giorno del suo insediamento il ministro Brunetta non ha perso occasione per fare trapelare la sua personale visione sull’organizzazione del lavoro che ci ha consentito di attraversare la più grave crisi sanitaria del secolo, riducendo il numero di vittime e di contagi e mantenendo in funzione le pubbliche amministrazioni (con gradi diversi di efficienza legati al livello di digitalizzazione delle procedure e della possibilità di remotizzare le prestazioni, di cui peraltro sarebbe lui stesso responsabile).

Ecco alcune delle dichiarazioni sul lavoro da remoto rilasciate alla stampa nazionale con il silenzio assenso del Governo e del presidente Draghi: “villeggiatura per i lavoratori”; “fannulloni del divano”; “lavoro a domicilio all'italiana”; "non ha garantito i servizi pubblici essenziali"; “lo smart working resterà ma solo al 15 per cento.”

Salvo poi complimentarsi con L’Istat per il servizio prezioso offerto al Paese nel corso della pandemia. Erogato da remoto, aggiungiamo noi.

La foga è talmente alta che dalla Funzione Pubblica escono provvedimenti contraddittori, raffazzonati e in contrasto con altre norme e disposizioni.

Pensiamo all’ultimo DPCM per il ritorno in presenza nella Pubblica amministrazione. Varato il 21 settembre 2021, alla vigilia delle elezioni (forse è parte della campagna elettorale?), si compone praticamente di una frase: “La modalità ordinaria di lavoro nelle pubbliche amministrazioni torna ad essere quella in presenza”.

Cioè dal 15 ottobre 2021, costi quel che costi, tocca tornare a sedersi nella sedia dell’ufficio, perché quella di casa è troppo comoda, non genera consumi e poi si sa che il lavoro è soprattutto sacrificio.

Tutto questo senza indicazioni operative affinché il rientro negli uffici sia rispettoso delle misure di contrasto al Covid-19 (ricordiamo che vigono ancora norme sull’affollamento degli spazi e misure di sicurezza per prevenire e tracciare gli eventuali contagi) e coerente con la sostenibilità del sistema dei trasporti, tanto da aver fatto sobbalzare le prefetture.

Un gran pasticcio: a 10 giorni dall’entrata in vigore delle misure non è dato sapersi a quali condizioni saremo chiamati a tornare in massa nelle sedi delle nostre amministrazioni.

La bozza di Decreto Ministeriale - che dovrebbe normare la prestazione lavorativa dei dipendenti pubblici dal 15 ottobre 2021 e fino alla definizione degli istituti del lavoro agile da parte della contrattazione collettiva e dal piano integrato di attività e organizzazione (PIAO ex POLA) che dovrà essere varato dalle PA - trapelata negli ultimi giorni di settembre è ancora più pasticciata.

- introduce una disposizione sulla sottoscrizione degli accordi individuali di lavoro agile (e loro contenuti) che è in contrasto con la legge, di rango superiore, (quella sullo stato di emergenza) e che ha stabilito proprio la deroga all’utilizzo degli accordi individuali di lavoro agile fino al termine dell’emergenza sanitaria (ad oggi fissato al 31 dicembre 2021)!

- ribadisce che l’esecuzione della prestazione lavorativa in presenza dovrà essere prevalente, per ciascun lavoratore (compresi coloro che svolgono funzioni di coordinamento e controllo dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi).

Il tutto condito con altre previsioni succose: “l’amministrazione deve aver previsto un piano di smaltimento del lavoro arretrato”; “l’amministrazione mette in atto ogni adempimento al fine di dotarsi di una piattaforma digitale o di un cloud o comunque di strumenti tecnologici idonei”; “al fine di agevolare gli spostamenti casa – lavoro del personale dipendente, anche con modalità sostenibili, i mobility manager aziendali delle pubbliche amministrazioni elaborano i piani degli spostamenti casa”; “le Regioni e gli enti locali competenti valutano l’emanazione di apposite disposizioni finalizzate ad adeguare tempestivamente i piani di trasporto pubblico locale alle nuove fasce di flessibilità delle pubbliche amministrazioni”.

Insomma, tutto ‘sto casino per mandare oltre 3 milioni di dipendenti pubblici nei centri città di tutta la penisola italica a fare girare l’economia con i 7 euro al giorno del buono pasto, spesi nell’arco dei 30’ di pausa pranzo concessa e scandita a suon di badge al personale della PA?! Ci spera davvero Brunetta nel grande boom economico come negli anni ‘60 così alimentato? O forse dietro a questi proclami si intravede, piuttosto malcelato, il suo astio antropologico nei confronti di riottosi e nullafacenti dipendenti pubblici e oggi smart workers?

Per chiudere il cerchio occorre segnalare il carattere autoritario di un provvedimento di questa natura, la sua matrice culturale che a tutto rimanda tranne che all’idea di una PA moderna, flessibile, digitale in cui tutti i servizi e tutte le attività che possono essere gestite in modo smart si trasformino per diventare più accessibili ed efficaci. Infine e non da ultimo il tema della sostenibilità ambientale, della scelta in controtempo di rimettere milioni di persone in auto o sui mezzi dando una mano significativa alla congestione (già intollerabile in alcune città) e ai livelli di emissioni. Comincia così la transizione ecologica di questo Governo?

Finiamo questa saga ricordando che il lavoro agile è una modalità organizzativa straordinariamente contraddittoria.

Porta con sé elementi positivi (restituisce autonomia lavorativa, amplia le possibilità di conciliazione, influisce significativamente sull’impatto ecologico dell’organizzazione sul contesto in cui opera) ma è foriera anche di grandi rischi (individualizza il rapporto di lavoro, spinge alla iperconnessione e al super lavoro, addomestica il conflitto nei luoghi di lavoro, depotenzia le modalità di organizzazione e auto-organizzazione də lavoratorə, rischia di favorire l’applicazione della valutazione della performance individuale a cui sono sempre e ancora connesse le decurtazioni stipendiali previste dalla legge, che guarda caso si chiama Brunetta).


Occorrerà lottare per non farsi sottrarre i gradi di libertà che il lavoro agile porta con sé, lottare per non accettare le storture e gli arretramenti sul piano dei diritti e lottare per immaginare e costruire nuove forme di partecipazione e attivismo che non ci confinino nelle nostre case lasciando indisturbati i manovratori.


L’11 ottobre saremo in piazza per iniziare questo percorso! Adelante!

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