La catastrofe sanitaria e sociale prodotta dalla pandemia COVID è stata, come ogni improvviso e imprevisto momento di crisi radicale, una specie di cartina al tornasole capace di rivelare la trama essenziale del mondo in cui viviamo. Si può dire che lo stesso è stato per l’ISTAT: in questi 18 mesi abbiamo visto confermarsi le tendenze che avevamo descritto ormai due anni fa, all’epoca del primo restyling organizzativo della presidenza Blangiardo. Proviamo a fare un bilancio provvisorio dell’azione della dirigenza dell’Istituto, in vista delle prossime mosse che dovranno essere implementate nei prossimi mesi per nominare i Direttori delle due macrostrutture dedicate alla produzione (DIPS) e alla attività trasversali (DIRM), per confermare o nominare la carica del Direttore Generale, per assegnare la poltrona della Direzione per la Pianificazione strategica, Ci sarà di che parlare, immaginiamo.
L’arrivo della pandemia ha investito una struttura organizzativa e dirigenziale già segnata da grandi contraddizioni e ambiguità: la modernizzazione di Alleva non è stata né cancellata né portata a termine, ma l’Istituto è scivolato in una specie di limbo organizzativo in cui gli aggiustamenti si sommano l’uno all’altro secondo criteri a volte impenetrabili a volte quantomeno deprecabili, generando confusione e incertezza crescenti.
Le ultime puntate di questa saga sono state:
- la creazione della nuova Direzione “Omnibus” DCRE (che integra le funzioni di ufficio stampa, relazioni internazionali e, curiosamente, il coordinamento del SISTAN), affidata a un giornalista del quotidiano di casa Confindustria.
- la “riorganizzazione” della rete degli uffici territoriali, con trecento lavoratori lasciati appesi in una strana terra di nessuno e riallocati in pieno agosto in 8 nuovi servizi tematico-territoriali. Anche qui si stenta a vedere il senso di una scelta a metà, al di fuori della necessità per il management di inventare processi di riorganizzazione da gestire (e co-gestire con le OOSS rappresentative) con cui giustificare la propria esistenza Ad esempio, ci domandiamo perché non adottare da subito un modello integralmente tematico, facendo afferire il personale UUTT alle direzioni esistenti, mantenendo le sedi di lavoro invariate e sfruttando pienamente le potenzialità del lavoro agile? Toppo lineare e conveniente forse.
Nel frattempo, il processo di ricambio della classe dirigente ISTAT resta una speranza per il futuro: a un Presidente in pensione da due anni, si sono aggiunti i pensionamenti successivi dei responsabili dei due macro-Dipartimenti: uno dei due subito rientrato in un’importante commissione di concorso (mentre l’incarico di direttore passava temporaneamente a una figura di transizione non si sa bene verso cosa), l’altra prorogata a titolo gratuito nella carica (come già accaduto alla responsabile dell’ufficio stampa che continua a servire l’Istituto, bontà sua). Dall’Istat non se ne va mai nessuno veramente, specie ai vertici della piramide, una sorta di Truman Show de noantri. Unico dato in controtendenza le dimissioni del direttore della Contabilità Nazionale, un segnale che forse dovrebbe preoccupare chi gestisce l’Istituto.
In molti invece se ne sono andati dall’Istat nel corso degli ultimi 18 mesi: centinaia di colleghi e colleghe sono andati (finalmente e per davvero, loro) in pensione. Restano a garantire la tenuta dell’Istituto e la produzione della statistica pubblica, anche dentro la catastrofe epidemica, meno di duemila dipendenti (il 10%in meno rispetto a un decennio fa). Se le pandemie sono impreviste, i pensionamenti no: eppure il management ISTAT non è stato in grado di progettare un piano di reclutamento degno di questo nome per sopperire alle uscite e reperire forze fresche (a marzo diverrà vacante anche la poltrona del servizio che gestisce le procedure concorsuali; chissà se questo avvicendamento produrrà qualche inversione di tendenza). A parità di produzione, anche senza considerare gli accresciuti compiti e funzioni che l’ISTAT ha assunto in questi anni, stiamo parlando di un enorme aumento dei carichi di lavoro e della produttività media.
A fronte di tale richiesta continua di sacrifici, ai lavoratori ISTAT è stato dato pochissimo: le risorse messe in campo per il trattamento accessorio, per i benefici assistenziali, per le progressioni di carriera (articoli 22 e 53/54) restano insufficienti a garantire una ragionevole speranza di crescita di salario e inquadramento alla gran parte di noi. I concorsi da III livello banditi nel 2018 verranno effettuati con una ”innovativa” prova scritta da remoto, effettuata su una piattaforma proprietaria, senza poter scrivere una formula, con assurde prescrizioni logistiche rese note a due settimana dallo svolgimento.
Anche l’unico fronte su cui la dirigenza ISTAT può legittimamente vantare meriti, quello del lavoro agile, potrebbe cominciare a scricchiolare. Dopo un cospicuo investimento tecnologico, amministrativo e organizzativo che ha reso possibile affrontare la situazione di emergenza sanitaria con successo e dopo la predisposizione di un POLA avanzato che dovrebbe entrare a breve in una fase di test, tutto è messo in forse dalle uscite propagandistiche e irresponsabili del Ministro Brunetta. Possiamo aspettarci che la dirigenza ISTAT tiri dritto e difenda la sua autonomia o dobbiamo mettere in conto la possibilità di una precipitosa retromarcia? Difendere la flessibilità, di tempi e di autonomia, conquistata con il lavoro agile, spetta a noi e non è possibile né aspettare fiduciosi che qualcuno ce la conceda, né rassegnarsi alle minacce di chi ce la vuole togliere.
Possiamo aspettarci che, in una situazione di rischio sanitario ancora alto con l’arrivo dell’autunno e con la possibilità di un’efficacia via via minore dei vaccini nel tempo, l’ISTAT tuteli la salute dei lavoratori di fronte alla propaganda del “tutti in ufficio!” di chi è disposto a tutto per un decimo di punto di PIL da sventolare?
La sospensione che ha prodotto nelle nostre vite la pandemia, e le trasformazioni che ha innescato anche in ISTAT, ci lascia con un quadro ancora incerto. Certamente la distanza fisica ci ha impedito in questi mesi di discutere tra noi e reagire con la forza necessaria alle scelte che ci sono piovute in testa dall’alto.
Dobbiamo, a partire dallo sciopero generale dell’11 Ottobre, ricominciare a parlare e a lottare per i nostri diritti.