Il mondo dell’informazione e quello della politica in fondo si somigliano. Tutti e due necessitano di un pubblico cui rivolgersi ed entrambi possono prosperare solo se riescono a portare dalla loro il numero maggiore di persone. Saper condizionare l’opinione pubblica, quindi, equivale a esercitare potere.
Se volessimo addentrarci in un excursus storico alla ricerca di una narrazione capace di avvalorare tale affermazione, sarebbe quasi inevitabile incappare nella figura di Citizen Kane creata da Orson Welles per il suo capolavoro Quarto potere. Le gesta del cittadino Charles Foster Kane risalgono al lontano 1941, tuttavia, lo spietato ritratto di William Hearst, a cui il personaggio protagonista della pellicola si ispira, incarna ancora oggi il prototipo del ricco uomo d’affari che riesce, attraverso un uso disinvolto del suo impero mediatico, a condizionare l’opinione pubblica e farsi eleggere alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti. Ricordiamo che il film subì un boicottaggio da parte della stampa controllata dallo stesso Hearst e che il magnate offrì alla RKO, proprietaria dei diritti, 800.000 dollari affinché la pellicola venisse distrutta e i negativi bruciati.
A dire il vero a tutti noi questa storia ne dovrebbe suscitare un’altra, della quale, però, se ne è parlato fin troppo. Diciamo che gli anni ‘40 sono lontani, ma non così lontani. Ora come allora, per raggiungere il successo in politica è indispensabile conoscere le dinamiche della comunicazione, farle proprie e saperle utilizzare in modo strategico. Se poi si possiede la proprietà dei mezzi di informazione, il gioco risulta ancora più semplice.
La principale differenza con l’oggi sta nel fatto che le nuove tecnologie hanno permesso ai cittadini di interagire direttamente, trasformando il mondo dell’informazione e della comunicazione. Per citare Umberto Eco, potremmo dire che se “la TV aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità" [1].
Il regime dei media attualmente è così totalizzante da essere riuscito a sottomettere le nostre coscienze e ad averle convogliate verso una sorta di disciplina della certezza. Le capacità di analisi e di giudizio sono state sostituite da un acritico senso di appartenenza. Si tratta di una pura pulsione emotiva. Niente di più. Ci siamo trasformati in fanatici di questo o quel personaggio politico, in estremisti di una presa di posizione, di un pro o di un contro. Qualcuno, correttamente, ha parlato di “militarizzazione delle coscienze”. Si partecipa a un conflitto combattuto a colpi di fatti e accadimenti, indotti in modo interessato e spesso fittizio dal grande mercato dell’informazione. Come in un piano sequenza interminabile, si svolge da anni una battaglia votata all'identificazione del leader salvifico, del pericolo incombente, del male da sconfiggere, e intanto tutti diventiamo sempre più poveri, sempre più ostili, sempre più soli.
Quella che va in scena purtroppo non è solo una guerra tra poveri, ma una guerra ai poveri! Parliamo di un processo di trasformazione della struttura stessa della società che ha avuto effetti deleteri sulla vita di ciascuno di noi. Per capire quanto siano efficienti le strategie messe in campo da chi comanda il mondo, sarebbe sufficiente esaminare l’inarrestabile tendenza che vuole una manciata di individui possedere più della metà più povera della popolazione mondiale. Parliamo di cifre inaudite con 26 individui che posseggono la ricchezza di 3,8 miliardi di persone. Anche in Italia la disuguaglianza è enorme e inaccettabile: il 5% più ricco della popolazione detiene la stessa quota di ricchezza del 90% più povero; il 20% più ricco dispone del 72% della ricchezza nazionale[2].
Parliamo nello specifico del diffondersi di un individualismo intransigente, disciplinato con metodo dai ciarlatani della politica, alla base del quale c’è la capacità della classe dirigente di esercitare un concreto controllo sulle opinioni della massa. Naturalmente con il supporto di una stampa prona e lusingata da laute provvigioni. Solo per fare un paio di esempi estemporanei, ci chiediamo se oltre a possedere la proprietà di un quotidiano, una società X esercitasse la sua attività principale nelle costruzioni edilizie, come parlerebbero, o sarebbero consigliati a parlare, dell’emergenza abitativa nelle nostre città i giornalisti di quello stesso giornale? Allora, come potremmo definire disinteressato alla questione abitativa Il Messaggero storico quotidiano di Roma, di proprietà di Francesco Gaetano Caltagirone il più importante costruttore della Capitale? E ancora. Se dietro agli accenti di alcune edizioni nazionali, accesamente favorevoli a grandi opere come l’alta velocità, si celassero interessi concreti dei suoi principali azionisti, come risulterebbe il loro racconto considerando questa palese incompatibilità? Sembrerebbero banalità, eppure queste contraddizioni, come abbiamo visto, in molti casi acclarate, non vengono mai poste al centro del dibattito politico. Come a dire che non bisogna in nessun modo disturbare i piani di chi comanda. In tal senso è sempre prezioso il lavoro di chi vive direttamente sulla propria pelle le conseguenze derivanti da questi paradossi (interessante il lavoro svolto dai NO TAV per evidenziare se i quotidiani/media che scrivono di TAV Torino-Lione in salsa SI TAV siano neutri oppure no rispetto alla eventuale realizzazione della Torino-Lione)[3].
Generalmente, piuttosto che far emergere ciò che di incongruente si cela dietro a determinate scelte politiche, è preferibile parlare del crocifisso nelle scuole o di poche centinaia di disperati lasciati sui barconi al largo delle coste italiane. Per far comprendere il meccanismo potremmo utilizzare la metafora della echo-chamber, “una situazione in cui le informazioni, le idee o le credenze vengono amplificate o rafforzate dalla comunicazione e dalla ripetizione all'interno di un sistema definito. All'interno di una camera dell'eco figurativa, le fonti ufficiali spesso non vengono più messe in discussione e le viste diverse o concorrenti sono censurate, non consentite o altrimenti sottorappresentate. […] Il fenomeno è particolarmente evidente nel caso dei social media e dell'uso che ne fanno politici, istituzioni e altre organizzazioni con il fine di far circolare i propri messaggi a discapito degli altri, comprese le bufale di vario genere”[4]. Sull'argomento si è soffermato in modo precipuo Zigmunt Bauman: “molte persone usano i social network non per unire e per ampliare i propri orizzonti, ma piuttosto, per bloccarli in quelle che chiamo zone di comfort, dove l’unico suono che sentono è l’eco della propria voce, dove tutto quello che vedono sono i riflessi del proprio volto. Le reti sono molto utili, danno servizi molto piacevoli, però sono una trappola”[5].
È in queste circostanze che, al netto delle ragioni oggettive, trova sfogo e si diffonde quel gioco perverso, praticato dagli ultrà dell’una o dell’altra fazione. In tutti i casi è un protagonismo spogliato della sua carica ribelle, di una partecipazione politica effettiva. Non si incide sulle decisioni, ma ci si sente parte integrante di un’idea di società, anzi di una congrega ad excludendum, espressione massima delle compagini partitiche e governative contemporanee. L’obiettivo è quello di riuscire a far precipitare qualsivoglia discussione costruttiva in una zona d’ombra, in un limbo asettico dove la pratica riflessiva viene offuscata e il confronto ricondotto in aree del tutto periferiche. La tecnica, pur rimanendo efficace, è ormai svelata. Si induce il grande pubblico a polemizzare su questioni irrilevanti, quando non del tutto inesistenti, di modo che si riduca l’attenzione verso la problematica complessiva. Lo stratagemma, perpetuato nel tempo, vive e si fortifica proprio perché riesce ad evitare sistematicamente che si instauri uno spirito critico in rapporto alla storia, alla politica, all'economia.
Speriamo ancora per poco.
[1] Umberto Eco: “Con i social parola a legioni di imbecilli”, “La Stampa”, 10 giugno 2015
[2] https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2019/01/Bene-Pubblico-o-Ricchezza-Privata_Executive-Summary_Oxfam-2019.pdf
[3]http://www.notav.info/post/perche-la-repubblica-e-si-tav/
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Camera_dell%27eco
[5] Ricardo de Querol, “Las redes sociales son una trampa”, “El Pais”, 9 gennaio 2016, intervista riportata in italiano da Maria Murone: “Le reti sociali sono una trappola”, “The Universal”, 9 gennaio 2016
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